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2 B int, Liceo Ginnasio Galvani, Bologna
Lo stile è decisamente infantile, per niente ricercato e perlopiù di facile comprensione. Curiosa la decisione dell’autore di riportare sporadiche, insignificanti e sconnesse circostanze, raccontate senza cura dell’ordine cronologico. Sottili allusioni sembrano accennare ora a un pensiero fanciullesco, ora a una riflessione più adulta, senza alcuna indicazione precisa.La storia è coinvolgente, ma assolutamente delirante. Tre membri della stessa famiglia muoiono lasciando al mondo cinque giovani fratelli che miracolosamente sopravvivono e paiono pensare solo al loro passato di gioia, diviso tra funzioni religiose, tè con biscotti e risate paterne. Non c’è un filo conduttore tra un racconto e l’altro, unico punto in comune il bambino che nel pieno di un terremoto familiare resta fermo, immobile, con le sue speranze, paure, gioie e tragedie-le quali sono il fulcro dell’intera storia.I personaggi sono affettuosi, dolci, speranzosi: inverosimili. Non conoscono la disperazione, si mantengono neutrali nei confronti della severità della religione, pur non approvandola spesso; comunque non sembrano uomini di carne (probabilmente la narrazione del ragazzino è altamente influenzata dalla sua tenera età di sogni). Le poche figure aspre sono estremizzate e spaziano dalla reincarnazione demoniaca all’icona della fede più cieca e -a mio parere- ignorante, ridicola.Il libro merita un giudizio pari a due, a causa del caos narrativo. Sarebbe un più che riuscito diario personale in quanto assomiglia straordinariamente a un dialogo dell’autore, ancora emotivamente instabile, con la sua interiorità .
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