Descrizione
Autore
Nato nel 1934 nella contea di Durham, in Inghilterra, da una famiglia di minatori, ora vive nel Gloucestershire. Da bambino in casa aveva solo cinque libri tra cui la Bibbia, un dizionario, alcuni manuali e un libro illustrato di fiabe di Esopo. Come dire: la lettura non era certo l’occupazione preferita della famiglia. La scuola fu un vero shock: era una schiappa in matematica e non se la cavava certo meglio in inglese. Si ricorda ancora la sera in cui imparò a leggere: aveva nove anni. In compenso adorava il cinema. Poi, la svolta. A tredici anni, incontra Jim Osborne, un insegnante che gli cambia la vita per sempre: lo porta a teatro e gli fa conoscere Shakespeare, gli fa comprare un libro a settimana, gli insegna a parlare in pubblico. È così che scopre un libro: Figli e amanti di D. H. Lawrence. Aidan ha quindici anni quando legge l’ultima pagina, chiude il libro e sa che diventerà uno scrittore. Gli ci vorranno anni prima di cominciare a scrivere e altri ancora prima di pubblicare, ma quando finalmente lo fa ottiene un successo mondiale. Nel 2002 vince il premio più prestigioso della letteratura per ragazzi, l’Hans Christian Andersen Award. Con il romanzo Quando eravamo in tre ha vinto la prima edizione di Xanadu.
Bibliografia
Ora che so, Fabbri, 2004
Breaktime, Fabbri, 2005
Cartoline dalla terra di nessuno, Fabbri, 2007
Questo è tutto, Rizzoli, 2007
Danza sulla mia tomba, Rizzoli, 2008
Quando eravamo in tre, Rizzoli, 2008
Muoio dalla voglia di conoscerti, Rizzoli, 2012
Eccentrico quanto geniale, Alan Moore (1953) è considerato da molti il più grande scrittore di fumetti vivente, ma è anche un romanziere, cantante e cantautore e, dal giorno del suo quarantesimo compleanno, si è autoproclamato mago.
Fin dagli anni settanta ha riscritto e rivitalizzato numerosi personaggi dei supereroi, da Superman a Batman, fino a scrivere il suo più grande successo: Watchmen (1987), considerato il miglior fumetto supereroistico di sempre.
Negli anni successivi scrive e pubblica numerose serie di successo, trattando spesso il tema del giustiziere o del superuomo, declinandolo in modi differenti, a volte sbeffeggiandolo a volte caricandolo di un’aura mistica e sofferta.
Il 31 marzo 1972 Alejandro Amenàbar (pseudonimo di Alejandro Fernando Amenàbar Cantos) nasce a Santiago del Cile, da padre cileno e madre spagnola, ma prestissimo a causa del golpe di Pinochet, è costretto a decollare con l’intera famiglia alla volta di Madrid, Spagna. Qui, Alejandro si iscrive alla facoltà di Scienze dell’Informazione, ma poco dopo deciderà di abbandonare gli studi e di iniziare a studiare cinema. Immediatamente, si impone nel panorama cinematografico come promettente stella nascente con il suo primo lungo-metraggio “Tesis” (1996), che vinse sette premi Goya. Con l’uscita del suo secondo film “Apri gli occhi” si consolida definitivamente nel panorama cinematografico come nuovo talento, ottenendo un buon successo anche all’estero. Diversamente dalla maggior parte degli altri direttori spagnoli contemporanei, Alejandro non tratta della storia recente, ma si avventura senza paura in narrazioni fantasmagoriche e quasi surrealiste. In occasione del suo film “Agora”, rilasciò un’intervista a Fotogramas (6 ottobre 2009) nella quale dichiarò la sua condizione di agnosticismo, definendosi “totalmente ateo”. Mentre nel settembre 2004 ha discusso apertamente la propria omosessualità con la rivista gay spagnola “Shangay”.
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“E restiamo seduti sugli argini del fiume, mentre la luna, che l’ama anch’essa, si china per mandargli un bacio sororale e stringerlo tra le sue argentee braccia; e restiamo a guardarlo scorrere, mentre con canti e sussurri va incontro al suo re, il mare- fino a quando le nostre voci muoiono nel silenzio, e le pipe si spengono- fino a quando noi, giovanotti come tanti, ci sentiamo stranamente pieni di pensieri, in parte tristi, in parte dolci, e non proviamo più il desiderio di parlare…”
Tre amici londinesi decidono di trascorrere una vacanza in barca sul Tamigi per dormire sotto le stelle: Jerome, ipocondriaco preoccupato da non aver contratto il ginocchio della lavandaia; Harris, uomo cinico e concreto, che tiene sotto controllo le azioni altrui; George, pigro ma non abbastanza da dispensare saggi consigli; infine Montgomercy, il placido cane che viene coinvolto con disappunto all’avventura dei suoi amici umani. Tra divertenti imprevisti e disastri annunciati, tra panni troppo sporchi per essere lavati e cibo in scatola che non vuol sapere di aprirsi, visite improvvisate a labirinti sconosciuti e tre poveri pescatori travolti dalla loro barca, le vicissitudini reali e i racconti di strambe avventure passate si intrecciano e fanno da cornice ad un viaggio fuori dal comune. I luoghi che i tre amici visitano lungo il Tamigi prendono una forma inusuale, pregna di una dolce filosofia a volte sottovalutata: il miglior modo per tener testa alla vita, perfino nelle situazioni peggiori, è proprio riderci sopra.
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