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Cassandra

Cassandra

Christa Wolf, Cassandra, e/o, 1996

 Con questo racconto vado nella morte.

Termino qui, impotente, e niente, niente di quello che avrei potuto fare o non fare, volere o pensare, mi avrebbe condotto ad una meta diversa. Più profondamente di ogni altro moto dell’animo, più profondamente persino della mia paura, mi impregna, mi corrode, mi avvelena l’indifferenza dei Celesti verso noi terreni.

Occhio. Questo piccolo libro è difficilissimo, ogni pagina richiede un’attenzione e una concentrazione rare, e molto tempo. Le prime 30-40, in particolare, stendono anche il miglior lettore.

L’importante è saperlo, se non si è più che intenzionati meglio lasciar perdere, lasciando ai più temerari il piacere e l’intensità di questa esperienza.

Come se non bastasse, la ricercatezza stilistica accompagna un testo sofferente dalla prima all’ultima riga: l’autrice immagina Cassandra, la profetessa del mito greco, figlia del re di Troia e condannata a non essere mai creduta, a poche ore dalla morte.

Sulla nave di Agamennone, in attesa di essere giustiziata, ripercorre rabbiosa per noi la storia di Troia, i lunghi anni di guerra, la caduta tremenda e la distruzione, e contemporaneamente la sua infanzia, la sua adolescenza. E poi il rapporto coi genitori, con le amiche, con Apollo che l’ha resa peggio che muta, le violenze cui è stata sottoposta, la storia d’amore splendida e clandestina con Enea, l’odio feroce per Achille “la bestia”, che viene raccontato più volte come un mostro spietato, autore di delitti innominabili.