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Hei aspetta, © Jason/Black Velvet 2003

Henrik Ibsen

Henrik Ibsen

Nato nel 1828 a Skien, Norvegia, figlio di un commerciante benestante, si trovò di colpo coinvolto nel fallimento paterno e a 16 anni lasciò gli studi per lavorare in una farmacia a Grim Stad. Cominciò a scrivere per il teatro, nel 1851 divenne direttore del teatro nazionale di Bergen, acquistando una preziosa familiarità con il palcoscenico. Nel 1864, dopo il fallimento del teatro di Bergen, visitò l'Italia. Fu un periodo di cupo isolamento che servì a maturarlo.
Ibsen debutta con drammi storici, Catilina (1850), Il Tumulo del guerriero (1854). In queste pièces - più che altro dei tentativi-, si trova già il tema della vocazione individuale, direttamente ereditato dal filosofo Kierkegaard (che il drammaturgo ha letto molto bene), come pure il principio direttivo della visione ibseniana del mondo: la lotta implacabile di forze antagonistiche nel destino umano.
Certamente, non è in Norvegia che Ibsen riuscirà a farsi capire. Una borsa di studio gli funge da pretesto per esiliarsi: passerà ventisette anni espatriato successivamente a Roma, Dresda, Monaco e Roma di nuovo. È alla basilica di San Pietro che avrebbe avuto la rivelazione della sua missione: fustigare i suoi compatrioti, odiare lo “spirito debole”, difendere un individualismo forsennato.
Né realmente individualista né anarchico, Ibsen non attacca mai apertamente le strutture profonde della società borghese così come esse sono, si limita soltanto a difendere l’individuo d’eccezione.
Ibsen morirà nel 1906 a Oslo, cinque anni dopo un attacco d’apoplessia.
I suoi libri in Xanadu: