Cosa mi è piaciuto e perché (personaggi, situazioni, stile...) Mi è piaciuto il messaggio che Liebermann, il protagonista, lancia al termine del libro: non è eliminando ogni possibile pericolo che ci si può cautelare dall'eventualità di sbagliare, ma modificando se stessi, in modo da non cadere negli errori. A questo messaggio si aggiunge una grande fiducia nelle generazioni future da parte di Liebermann, e implicitamente da parte dell'autore. Ho apprezzato anche il fatto che tale messaggio si trovi nelle ultime pagine, dopo che l'avvincente vicenda poteva essere già conclusa; in questo modo l'autore ha fatto passare in secondo piano tutta la storia, facendo concentrare il significato del romanzo in poche pagine. Questa tecnica fa sì che il lettore capisca perchè Ira Levin ha voluto scrivere questo libro solo alla fine, e dà lo spunto per interessanti riflessioni dopo il piacere di una narrazione intrigante e vissuta. Mi è piaciuto anche lo stile dello scrittore, in particolare la sua abilità a intersecare nella narrazione dettagli ripresi successivamente e determinanti, chi più chi meno, nella continuazione della storia; in questo modo collega tutto senza lasciare nulla al caso e infonde nel lettore un certo gusto alla scoperta di quei dettagli. E' a mio avviso avvincente e per nulla noiosa la parte centrale del romanzo, in cui le storie degli omicidi si intersecano alle indagini di Liebermann e ai pensieri di Mengele. In genere, la vicenda mi ha divertito e appassionato per la sua originalità. Mi ha un po' confuso la parte iniziale del romanzo, perchè non ci sono i nomi dei personaggi e il lettore spesso può non capire bene la situazione al ristorante giapponese. Non mi è molto piaciuto il grande utilizzo del verbo "dire", sostituito raramente da espressioni come "rispose, ribattè, esclamò, chiese, mentì..." Al messaggio di questo libro assocerei la canzone "Who knows" di Avril Lavigne, perchè ha un ritmo allegro e le parole, specie quelle del ritornello, rispecchiano alcune parti del racconto. Ad esempio, il ritornello dice "Chi sa cosa può succedere, fai quello che fai, però non smettere di ridere... C'è una cosa vera, c'è sempre un nuovo giorno...". Secondo me è avvicinabile a ciò che vuole trasmettere Ira Levin. Per il resto della vicenda servirebbe una musica inquietante e un po' lugubre, ma poichè non sono esperta di questo genere, non ne saprei indicare una in particolare. Consiglio questo libro a tutti coloro che amano le storie intricate, i gialli e le vicende originali, e che riescono ad appassionarsi ed emozionarsi davanti a romanzi che tengono con il fiato sospeso fino all'ultima pagina e che terminano in modo completamente inaspettato. Una particolare avvertenza per coloro che ritengono di essere troppo impressionabili: certo, è un po' cruento, ma la violenza passa in secondo piano di fronte alla bellezza della storia,all'interesse con cui la si segue e all'ottimismo del messaggio. Anche se credo che aggiungere un ulteriore finale alle ultime pagine così emozionanti e che lasciano in chi legge una punta di malizioso dubbio sia superfluo, ecco cosa penso sarebbe successo: nessuno dei novantaquattro ragazzi sarà un nuovo Hitler, anche se molti di loro acquisteranno una posizione di rilievo nella società, diventando artisti, decisi imprenditori o entrando in politica; mancheranno loro, però, milioni di sostenitori in grado di alimentare la loro ascesa. Liebermann vivrà serenamente fino alla fine dei suoi giorni e la sera, prima di addormentarsi, sarà fiero di sé: anche se vecchio, acciaccato e stanco, è riuscito a salvare dei bambini. Per la tematica della storia trattata, mi verrebbe in mente il romanzo di Paolo Maurensig "La variante di Luneburg", che è un racconto inventato e ambientato successivamente alla Shoah, inquietante e con elementi simili a "I ragazzi venuti dal Brasile", come il desiderio di vendetta.
Peraca
voto: Molto bello