Cosa mi è piaciuto e perché (personaggi, situazioni, stile...) Mi è piaciuto il modo innovativo (per l’epoca) con cui l’autrice ha sviluppato una storia di fantascienza, allontanandosi dai triti racconti di spettri e fantasmi. Lei, donna in una società inclemente nei confronti delle donne avanguardiste, ha impresso al genere una direzione del tutto insospettata. Inoltre mi ha affascinato l’idea, la scintilla da cui tutto scaturisce: l’uomo, calato in un ruolo di Dio onnipotente, che riesce a dare vita. E’, insieme al miraggio di poter sconfiggere la morte, il traguardo impossibile cui gli scienzati di ogni tempo aspirano; qui, in un lampante slancio illuministico, è permesso dall’uso congiunto di genio, studio, chimica e razionalità. Inoltre, per quanto inammissibile sul piano dei puri accadimenti fisici, esso offre all’immaginazione una prospettiva sulle passioni umane più complessa e articolata di quanto sia quella concessa dalle ordinarie relazioni tra eventi del mondo reale. Ho trovato quasi insopportabile lo stile: ampolloso, pretenzioso, tedioso, intriso del più stucchevole romanticismo, soffocato da una pretesa insoddisfatta di scavo psicologico e da un compiacimento lezioso in descrizioni, digressioni, riflessioni e preamboli, sarà pur stato molto apprezzato nell’Ottocento ma è pressocché illeggibile da un lettore d’oggi. Secondo me, la musica dev’essere all’insegna della compostezza e deve evitare coinvolgenti slanci sentimentali nell’ascoltatore: inserirei alcune delle “Suite Inglesi” di Bach o, per accompagnare la descrizione dei lieti e ordinati paesaggi svizzeri, componimenti come quelli di Schumann; forse oserei persino, in corrispondenza della spannung, una “Romanza Senza Parole” del Mendelssohn più temperato. A chi, libero da pregiudizi, voglia risalire all’origine del mito di Frankenstein. “Dopo giorni e notti di duro, durissimo lavoro e incredibili fatiche, ero riuscito a scoprire il segreto della creazione e della vita. Di più: io stesso ero capace di infondere vita alla materia inanimata.” Difficile non pensare alle numerose riduzioni cinematografiche del romanzo: dal film-culto di James Whale, spassoso ma ben poco fedele, alla trasposizione, ultimo adattamento in ordine cronologico, di Kennett Branagh, brillante e traboccante di quella energia che Victor tenta disperatamente di incanalare nel suo laboratorio.
Inotre, non mi è piaciuta l’inverosimiglianza delle caratterizzazioni: il mondo dell’autrice è irrimediabilmente polarizzato in Bene e Male e rinnegata è tutta la gamma di sfumature che si estende tra i due estremi. Da una parte si stagliano immacolate le creature di profonda, perfetta purezza, che diventano ben presto irritanti; dall’altra strisciano quelle di impareggiabile, inconcepibile malvagità, che, lungi dal coinvolgere nel teneboroso o nel morboso ma intrappolate nella loro funzione didascalica, risultano soltanto molto soporifere. Manca la capacità d’ispezione; purtroppo, neanche la mostruosa creatura, di per sé conflittuale, ipocrita, ambigua e quindi molto gustosa da indagare per uno scrutatore d’animi, riceve la meritata caratterizzazione ed è abbandonata ad una piattezza sconfortante.
(A chi non si fa spaventare da impenetrabili labirinti di subordinate e svenevoli ridondanze di aggettivazione.)
abx
voto: Cos cos