Descrizione
Autore
György Dragomán
Nato nel 1973 in Transilvani (Romania), all’età di 15 anni emigrò con tutta la famiglia in Ungheria. «Fu un’esperienza difficile» ricorda. Nonostante la sua biografia sia complicata quanto la storia della sua terra d’origine, György non ha dubbi sulla sua identità.
«Sono ungherese. In un certo senso, penso di essere stato fortunato. Come disse una volta Joyce…se vuoi essere un innovatore, devi perdere la tua famiglia, la tua patria, la tua religione. Proprio quello che è successo a me» conclude con un sorriso ironico.
Al suo attivo, oltre che a racconti, fiabe e testi per il teatro, ci sono due romanzi: Il libro della distruzione (2002), non ancora tradotto in italiano, e Il re bianco.
Con il primo volume ha ottenuto il Bordy Prize, con il secondo il premio alla memoria di due scrittori ungheresi: Tibor Déry e Sándor Márai. L’attività nel campo letterario, si completa con quella di traduttore d’autori importanti come Beckett, Joyce e Irvine Welsh.
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Descrizione
György Dragomán, Il re bianco, Einaudi
“Non cercare dov’è questa o quella cosa, prova invece a vedere l’insieme, l’unità del tutto, come se contemplassi un dipinto, o una bella ragazza, sforzati di vedere tutto insieme, certo non è facile, ma se riesci, guarderai il mondo in modo diverso.”
Dzsátá è un ragazzino di undici anni alle prese con qualcosa di molto grande, pericoloso, folle e ipocrita: il regime di Ceauşescu. Nella Romania degli anni Ottanta, l’infanzia, e ogni più piccola libertà, viene negata, annientata per gli interessi del Partito. Molti uomini vengono arrestati dalla polizia segreta, la Securitate, senza fare più ritorno dalle loro famiglie. Anche il padre di Dzsátá è stato preso, e se all’inizio sembrava potesse tornare quasi subito, nei mesi successivi la delirante idea della sua morte inizia a tormentare la sua vita e quella della madre.
I giorni trascorrono tra scorribande, giochi violenti, incontri strampalati, inattese parate e noiose celebrazioni di Partito. La vita sembra continuare, ma il ragazzino vede l’orrore, la disperazione, la lenta degenerazione dell’animo umano e cerca di resistere, proteggendo la madre, ebrea dissidente, e ascoltando il nonno paterno, folle e ormai avviato alla morte. L’ombra di un possibile ritorno alla normalità arriverà nel 1989, con la caduta del Muro, ma questo Dzsátá non può ancora saperlo e nel frattempo sogna un futuro con accanto il papà.
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