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Bunker diary

 Brooks K., Bunker diary, Piemme, 2015

« Mi pongo delle domande sul mondo che abbiamo intorno e poi cerco la risposta»
«Quali domande?»
«Di tutti i tipi, ma soprattutto quelle che smettiamo di farci quando diventiamo grandi. Perché il cielo è blu, perché lo spazio è buio, perché le stelle splendono, perché abbiamo due occhi»
Jenny ha sorriso. «E’ vero. Perché abbiamo due occhi?»

Mi chiamo Linus e non so se leggerete questo diario. Ho 16 anni e sono rinchiuso in un bunker sotterraneo, e sono solo, non c’è nessuno qui con me. Ci sono sei stanze, una cucina, un bagno e una sala da pranzo: sei piatti e sei forchette di plastica. Nelle camere sei bibbie e sei taccuini con relativa penna, coperte e cuscini. Nient’altro. Mi hanno calato qua sotto tramite un ascensore, unico collegamento con il mondo esterno. Mi sono accorto che sul soffitto di tutte le stanze ci sono delle piccolissime grate. All’inizio pensavo fossero le bocchette di aerazione, e avevo ragione, ma non solo. In ogni grata c’è anche una telecamera e un microfono. Qualcuno sta osservando e ascoltando tutto quello che faccio. Mi sembra di impazzire, cosa vuole da me? Sì, perché io so chi mi sta spiando. Quel cieco, quel finto cieco in realtà. Erano sei mesi ormai che ero scappato dal collegio dove mi aveva rinchiuso mio padre. Vivevo per strada e dormivo dove capitava: anfratti della metropolitana, portici. Insomma qualsiasi posto sufficientemente ospitale per passarci la notte. Non me la passavo male. Quella domenica mattina però mi sono fregato da solo, non ho ascoltato il mio intuito. Mi aggiravo per la stazione e nella zona dove di solito ci sono i taxi c’era un furgone parcheggiato, dietro al quale un signore, visibilmente in difficoltà, cercava di caricare una pesante valigia. Mi sono avvicinato e ho notato il braccio ingessato e spessi occhiali da sole. Ho pensato, è cieco, ha bisogno d’aiuto e l’ho aiutato a caricare la valigia. E’ l’ultima cosa che ricordo prima del fortissimo odore di cloroformio che mi ha fatto svenire. E ora sono qui. Cosa vuole da me? Uscirò mai vivo da questo posto?

 

I ragazzi venuti dal Brasile

I ragazzi venuti dal Brasile

Ira Levin, I ragazzi venuti dal Brasile, Sur, 2016

Immaginiamo che il dottor Josef Mengele, conosciuto come l’Angelo della Morte per gli esperimenti su cavie umane nei campi di concentramento, abbia trovato salvezza in un paese sperduto del Sud America. Che cosa farà? Cercherà di garantire al mondo la supremazia della razza ariana. E allora novantaquattro uomini, sparsi in tutti i continenti, appartenenti a tutte le classi sociali, cittadini pacifici che sembrano essere in tutto e per tutto uguali agli altri, dovranno morire entro la primavera del 1977. Ma a ostacolare il piano folle di Mengele ci penserà il vecchio Liebermann, un ebreo sopravvissuto, che ha deciso di dedicare la sua vita alla ricerca dei criminali nazisti.